Riposa nella speranza

Il sabato Santo è il giorno del grande silenzio; è come un giorno che sorge senza luce, poiché su di esso si distendono, ancora, come una fitta coltre, le tenebre del Venerdì Santo. Qualcosa di enorme e tremendo è accaduto: la morte violenta del Giusto. Sbigottita, la terra tace.

Ai concitati avvenimenti del Venerdì fa seguito una profonda quiete. Infatti, nella giornata di ieri, fino verso il tramonto, si udiva ancora la sua voce, il suo lamento, la sua preghiera. Oggi egli tace; tacciono anche le grida dei crocifissori e della folla. Con lui che giace nel sepolcro sembra che tutto sia piombato nel silenzio e nel buio. É però un silenzio di sospensione; è un’oscurità di attesa vigilante. Tutta l’attenzione è infatti rivolta a colui che deve tornare dai morti.

Il Sabato Santo è dunque anche il giorno del riposo del Giusto, il primo del «sacro silenzio» con cui si suole circondare l’impenetrabile mistero della morte e che, in realtà, è un «parlare con il cuore», uno scendere nelle profondità dell’essere per ascoltare la parola di speranza che Dio stesso suggerisce al cuore.

Il senso vuoto che si prova entrando, il Sabato Santo, nelle chiese spoglie e mute fa sperimentare all’anima l’assenza del suo Signore e la muove alla ricerca di lui, come la sposa del Cantico dei Cantici. Scopre così che egli le è indispensabile; impara, nella privazione, ad apprezzarne e a desiderarne la presenza; sente crescere in sé l’amore per lui – comincia a intuirlo – l’ha amata di un amore più forte della morte.

È così che la Chiesa tutta intera si raccoglie oggi presso il sepolcro dello Sposo per ascoltarne il silenzio, come prima ne aveva ascoltato i gemiti e le ultime parole, e per attendere con speranza il suo risveglio, anzi, per sollecitarlo con gli insistenti richiami della preghiera.

L’unica liturgia che oggi la Chiesa celebra è quella delle Ore; lo fa con un tono pacato, quasi sommesso, nascosta nel silenzio dei cori e nella penombra delle chiese. Una liturgia che sembra quasi prenderci per mano e farci scendere, insieme con il Cristo, negli inferi, il regno della morte, per farci poi risalire con lui nel pieno fulgore del regno della vita.

La Chiesa in questo giorno nell’Ufficio delle letture ci propone nella seconda lettura un’ antica, suggestiva, omelia del Sabato Santo e la descrive con drammatica ed esaltante vivacità di immagini e di sentimenti.

Eccone alcuni passi: «Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi».

Quindi prosegue descrivendo Cristo che, buon Pastore, entra negli inferi con il suo glorioso vincastro – il legno della croce – e va a cercare il primo uomo, Adamo, pecorella smarrita. «Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e disse: “Sia con tutti il mio Signore”. E Cristo rispondendo disse ad Adamo: “E con il tuo spirito”.

Avviene allora una specie di liturgia battesimale che sfocia in una liturgia eucaristica. Cristo prende per mano Adamo e gli dice: «Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà». Sono le parole di un inno battesimale in uso nella Chiesa primitiva (cfr. Ef 5,14). Il battesimo era appunto definito sacramento dell’illuminazione.

Ora Gesù rievoca tutte le tappe della sua missione e ne svela il fine: «Io sono il tuo Dio che per te sono diventato tuo figlio». È il mistero dell’Incarnazione. «Per te e per questi che da te hanno avuto origine, ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che sono in carcere: Uscite!». È la nuova rinascita, la risurrezione. Ora parlo; ora dico, pronunzio la Parola, creo di nuovo.

«A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti». Come un padre si compiace nel guardare il suo figlio che gli assomiglia, così Gesù si compiace di guardare Adamo riscattato, e, quasi prorompendo in un’effusione di gioia per l’opera sua dice: «Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura. Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo». 

Per te, per te… È tutta una dichiarazione di amore. Per te, uomo, ho condiviso la debolezza umana… Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso terrestre, io sono stato tradito in un giardino… E così Gesù racconta al primo Adamo tutta la sua Passione per dimostrargli il suo amore, culminando, in modo sorprendente, in una vera e propria liturgia eucaristica: «Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino, ma ti colloco sul trono celeste. Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono… Il Trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i portatori, la sala è allestita, la mensa apparecchiata… In altre parole, è preparato per te dai secoli eterni il regno dei cieli» (cfr. Seconda lettura dell’Ufficio delle letture, in, Ufficio delle Ore. Secondo il Rito romano, II, Città del Vaticano 1975, 446-448).

È una festa di nozze. Ormai, dice il Signore all’umanità, tu sei in me e io in te! Siamo per sempre!

La discesa agli inferi, Dal polittico di Serafino dei Serafini (Cattedrale di Piacenza, sec. XIV) 

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