“Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31).

I testi liturgici di questi giorni orientano la nostra attenzione alla bontà del mondo che ci circonda e che “incredibilmente” continua a essere orientata alla gloria di Dio e al benessere dell’uomo. Sia le parole della Genesi sia quelle di Gesù, tramandate dall’evangelista Marco, distolgono l’uomo dall’ansietà nei confronti dell’ambiente in cui vive, del quale non è né succube né dispotico gestore, bensì amministratore tenuto a rendere conto del proprio operato.

Non è facile essere buon amministratore. La nostra vita, il tempo che ci è dato, le persone e le cose con cui abbiamo a che fare sono sempre in pericolo di venire sciupate materialmente e religiosamente. Tutto ciò che siamo e abbiamo può infatti raggiungere la sua massima nobiltà diventando preghiera di lode a Dio o essere invece degradato divenendo qualcosa che fa male a noi stessi, ai nostri vicini e all’ambiente in cui viviamo.

Crediamo di poter trovare un modello di buona amministrazione nelle commoventi parole scritte da Etty Hillesum nel suo diario e che sono diventate famose come “preghiera della domenica mattina”. Così scriveva e pregava in un momento di riposo dal suo lavoro per aiutare i connazionali ebrei olandesi destinati ad Auschwitz, con i quali in seguito concluse la sua esistenza non ancora trentenne:

“Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi, stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani – ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa fare molto per modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi ad ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento – invece di salvare te, mio Dio. E altre persone che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: “me non mi prenderanno”. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.

Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia, ma credimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio.

Per il dolore grande ed eroico ho abbastanza forza, mio Dio, ma sono piuttosto le mille piccole preoccupazioni quotidiane a saltarmi addosso e a mordermi come altrettanti parassiti. Be’, allora mi gratto disperatamente per un po’ e ripeto ogni giorno: per oggi sei a posto, le pareti protettive di una casa ospitale ti scivolano sulle spalle come un abito che hai portato spesso, e che ti è diventato familiare, anche di cibo ce n’è a sufficienza per oggi e il tuo letto con le sue bianche lenzuola e con le sue calde coperte è ancora lì, pronto per la notte – e dunque, oggi non hai il diritto di perdere neanche un atomo della tua energia in piccole preoccupazioni materiali. Usa e impiega bene ogni minuto di questa giornata, e rendila fruttuosa; fanne un’altra salda pietra su cui possa ancora reggersi il nostro povero e angoscioso futuro. Il gelsomino dietro casa è completamente sciupato dalla pioggia e dalle tempeste di questi ultimi giorni, i suoi fiori bianchi galleggiano qua e là sulle pozzanghere scure e melmose che si sono formate sul tetto basso del garage. Ma da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, e spande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio. Vedi come ti tratto bene. Non ti porto solo le mie lacrime e le mie paure, ma ti porto persino, in questa domenica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino profumato. Ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino, e sono veramente tanti. Voglio che tu stia bene con me. E tanto per fare un esempio: se io mi trovassi rinchiusa in una cella stretta e vedessi passare una nuvola davanti alla piccola inferriata, allora ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora la forza. Non posso garantirti niente a priori, ma le mie intenzioni sono ottime, lo vedi bene.

E ora mi dedico a questa giornata. Mi troverò fra molta gente, le tristi voci e le minacce, mi assedieranno di nuovo, come altrettanti soldati nemici assediano una fortezza imprendibile.

(Hillesum, Hetty 1914-1943 . Dal “Diario”: Preghiera della domenica mattina)

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